IL TRIBUNALE MILITARE
   In  sede  di udienza preliminare del 4 maggio 1999 nel procedimento
 penale a carico di Carrettoni Gjonata, nato  il  19  gennaio  1974  a
 Galliate  (Novara)  e residente a Trecate (Novara), in via Trieste n.
 52, imputato del reato di  "diserzione"  (art.  148  n.  2  c.p.m.p.)
 perche',  gia'  militare  effettivo presso l'11 Btg. Ftr. "Casale" in
 Casale Monferrato (Alessandria), ed attualmente nella  forza  assente
 del  Distretto  militare  di  Torino, essendo arbitrariamente assente
 dall'11  dicembre  1993  quando  senza  giusto  motivo  ometteva   di
 rientrare  al reparto, in data 27 febbraio 1997 veniva condannato dal
 tribunale militare di Torino e non riassumeva  il  servizio  militare
 nei  cinque  giorni successivi a tale ultima data e fino al 30 luglio
 1998 quando veniva tratto in arresto dai Carabinieri  della  Stazione
 di Trecate.
   Vista  la  eccezione di legittimita' costituzionale prospettata dal
 pubblico ministero alla quale aderiva  la  difesa  ha  pronunciato  e
 pubblicato mediante lettura del dispositivo la seguente, ordinanza;
   Sulla  questione di legittimita' costituzionale dell'art. 14, comma
 5, legge 8 luglio 1998, n. 230.
                             O s s e r v a
   Con  provvedimento  del  21  gennaio  1999  il  pubblico  ministero
 esercitava  l'azione  penale  chiedendo  l'emissione  del decreto che
 dispone il giudizio a  carico  dell'imputato  in  rubrica  e  per  il
 delitto  in epigrafe descritto. L'imputazione costituente materia del
 giudizio di questo organo remittente e' relativo  ad  un  periodo  di
 assenza  arbitraria  dal reparto iniziato il 27 febbraio 1997, quando
 Carrettoni Gjonata  veniva  condanato  in  contumacia  dal  tribunale
 militare  di  Torino  per  un precedente reato di diserzione iniziato
 l'11 dicembre 1993, e terminato  il  30  luglio  1998  quando  veniva
 arrestato in esecuzione della precedente condanna resasi definitiva.
   Prima   di   passare   ad   esaminare  i  profili  di  legittimita'
 costituzionale della norma denunciata e' d'uopo, in breve, descrivere
 la  vicenda  giudiziaria  accaduta  all'imputato  in   seguito   alla
 pervicace   inosservaza,  da  parte  dello  stesso,  dell'obbligo  di
 prestare servizio militare.
   Dall'esame del fascicolo del  p.m.  evince  che  l'imputato  il  27
 febbraio 1997 veniva condannato a mesi sei di reclusione militare per
 una  ininterrotta  assenza  dal  corpo  e perdurante al momento della
 inflizione della sanzione penale. Il medesimo tribunale militare   di
 Torino  con  la  stessa  sentenza  non  concedeva  i  benefici di cui
 all'art. 163 c.p. ed, altresi', revocava quelli concessi con sentenze
 g.u.p. del 2 febbraio 1996 e 5 giugno 1996.
   Allo   stesso   imputato   con    questi    ultimi    provvedimenti
 giurisdizionali  erano  stati in precedenza inflitti complessivi mesi
 quattro e giorni quindici di  reclusione  militare  in  relazione  ad
 altri  tre  episodi  di  diserzione  e  cinque  di falso in foglio di
 licenza, tutti consumati nel 1993. Il Carrettoni  alla  data  odierna
 ha,  percio', riportato condanne esecutive per complessivi mesi dieci
 e giorni quindici di reclusione militare, tutte comminate per episodi
 costituenti rifiuto totale di prestare il servizio militare di leva.
   Dal verbale di  interrogatorio  reso  in  indagini  si  evince  che
 l'imputato  non adduceva motivi di coscienza di cui all'art. 1, legge
 8 luglio 1998, n.  230  (Nuove  norme  in  materia  di  obiezione  di
 coscienza)  al  proprio  e  persistente  rifiuto di prestare servizio
 militare; si limitava a dire: "sapevo di avere obblighi militari  sin
 da  quando  ho  disertato  la  prima  volta  nel  dicembre  1993 e ho
 continuato a rimanere assente pensando che al  massimo  mi  avrebbero
 condannato agli arresti domiciliari".
   Si  puo',  percio',  ben dire che l'odierno imputato e' da inserire
 nella categoria dei militari che  dopo  essere  stati  incorporati  e
 avere assunto servizio di leva rifiutano totalmente il medesimo senza
 adduzione  di  motivo  alcuno,  certamente  senza  allegare  i motivi
 riconosciuti dal legislatore meritevoli di particolare  tutela  e  di
 cui all'art.  1, legge n. 230/1998.
   Carrettoni  Gjonata  al  momento  dell'esercizo  dell'azione penale
 risulta, come gia' detto, condannato ad una pena complessiva di  mesi
 dieci e giorni quindici di r.m. (e, quindi, superiore alla durata del
 servizio  militare  di leva attualmente pari a dieci mesi) e, risulta
 in stato di detenzione ed in attesa  che  il  tribunale  militare  di
 sorveglianza provveda ad una sua istanza di pena alternativa.
   Comunque,  in ogni caso, esaminati gli atti si deve escludere abbia
 espiato per il  suddetto  reiterato  reato  di  rifiuto  totale  alla
 prestazione  del  servizio  militare  un  periodo  non inferiore alla
 durata del servizio militare di leva.
   Ma, non solo.  L'ultimo  e  recente  esercizio  dell'azione  penale
 depone  per  ritenere  non sia cessato il fenomeno perverso della cd.
 "spirale delle condanne" comportante  un  frazionamento  continuo  in
 lassi  temporali  di  un  comportamento ontologicamente unitario e da
 riportarsi all'originario rifiuto dell'11 dicembre 1993; tutto cio' a
 seguito del fatto che non essendovi ancora stata una espiazione della
 pena  per dieci mesi non vi e' stato esonero dal servizio militare e,
 pertanto, sono  continuate  le  condotte  ostative  alla  prestazione
 dell'obbligo imposto da parte di imputato pervicace nel rifiuto.
   ln  sede  di  udienza  preliminare  il  pubblico  ministero  ed  il
 difensore  dell'imputato  instavano  affinche',  tenuta  presente  la
 vicenda   dell'odierno   imputato,   si  ritenesse  rilevante  e  non
 manifestamente infondata, per violazione degli artt. 3 e 27 Cost., la
 questione di legittimita' costituzionale dell'art. 14, comma 5  della
 legge 8 luglio 1998, n.  230, nella parte in cui, nel caso di rifiuto
 totale  della  prestazione  del  servizio  militare di leva, commesso
 adducendo motivi diversi da quelli di cui  all'art.  1  della  stessa
 legge,  ovvero  senza  addurre  motivo  alcuno, subordina l'esenzione
 dall'obbligo di prestarlo alla espiazione della pena della reclusione
 per un periodo non inferiore alla durata  del  servizio  militare  di
 leva,  anziche'  alla sola sentenza di condanna alla reclusione nella
 medesima misura, e pertanto, si trasmettessero gli  atti  al  giudice
 delle leggi.
   La  istanza delle parti e' da condividersi e, proprio relativamente
 ai due indicati profili di legittimita' costituzionale invocati.
   E' noto che nella vigenza della legge 15 dicembre 1972, n.  772  la
 Corte   costituzionale  era  intervenuta  relativamente  all'istituto
 previsto dal terzo comma della legge  laddove  il  legislatore  aveva
 statuito  che  solo coloro che rifiutavano il servizio militare per i
 motivi di cui all'art. 1 ed a espiazione della pena  potevano  essere
 esonerati   dalla   prestazione   del   servizio  militare  di  leva,
 permettendo cosi' si creasse per le altre  fattispecie  di  reati  di
 assenza il perverso meccanismo della "spirale delle condanne".
   Con la sentenza n. 343 del 28 luglio 1993 e con quella n. 442 del 3
 dicembre  1993  (che  ebbe  ad  estendere  in via generale i principi
 introdotti dalla prima a tutti i casi in cui militari siano  imputati
 di  reati  comportanti  forme  di  rifiuto del servizio militare e si
 vengano a trovare assoggettati  alla  "spirale  delle  condanne")  il
 giudice  delle leggi aveva dichiarato l'illegittimita' costituzionale
 del terzo comma legge n. 772/1972 nella parte in  cui  non  concedeva
 l'esonero  dalla  prestazione  del  servizio  militare  a coloro che,
 avendo in tempo di  pace  rifiutato  totalmente  la  prestazione  del
 servizio  prima  o  dopo  averlo assunto, adducendo motivi diversi da
 quelli indicati nell'art. 1 o  senza  avere  addotto  motivo  alcuno,
 avessero  espiato  per  quel  comportamento  la pena della reclusione
 quantomeno in misura complessivamente non inferiore alla  durata  del
 servizio militare di leva (attualmente pari a dieci mesi).
   Dette   declaratorie  di  incostituzionalita  erano  riferite  alla
 violazione degli artt. 3 e 27  della  Costituzione  rilevabile  nella
 circostanza  che  colui  che  rifiutava il servizio militare di leva,
 prima o dopo averlo assunto  (a  seguito  di  altra  pronuncia  della
 Consulta  del  19  dicembre  1991),  adducendo  motivi  di  coscienza
 riconosciuti  meritevoli  di  tutela  dal  legislatore,   una   volta
 condannato  per il delitto di cui all'art. 8, secondo comma, legge n.
 772/1972 ed espiata la relativa pena,  veniva  di  diritto  esonerato
 dagli  obblighi di leva, mentre, chi per altri motivi, o senza motivo
 alcuno,  dopo  avere  assunto  il  servizio  militare,  rifiutava  di
 proseguirlo,  veniva  condannato  per  tutta una serie di fattispecie
 penali costituenti sempre  ipotesi  di  rifiuto  totale  (diserzione,
 disobbedienza,  etc.), di solito senza il beneficio della sospensione
 condizionale, e, pur espiando la  pena  inflitta,  rimaneva  soggetto
 agli obblighi di leva.
   Potendosi  addivenire  a continue e reiterate condanne nel tempo, e
 sempre  per  i  medesimi  delitti  di  rifiuto  totale,   persistendo
 l'originaria  volonta' di non prestare il servizio di leva, e fino al
 raggiungimento  del  quarantacinquesimo  anno  di  eta',  limite   di
 assoggettibilita' alle armi.
   Stante  l'analogia  di  condotta  con  cui si consumavano i diversi
 delitti militari di rifiuto totale alla prestazione militare,  stante
 l'identita'  del  bene  giuridico  tutelato  dalle medesime norme (la
 regolare prestazione del servizio militare in modo da  rispettare  il
 gettito  degli  incorporandi  previsto  dalle  forze  armate  per  lo
 svolgimento  dei  molteplici   compiti   istituzionali),   la   Corte
 costituzionale, con le pronunce additive cui si e' fatto cenno, aveva
 ritenuto  che  la normativa allora vigente costituisse una violazione
 del principio di uguaglianza stante la  "eccessiva  sproporzione  del
 trattamento  sanzionatorio" fra il reato allora previsto dall'art. 8,
 comma 2 e le altre fattispecie criminose, a vario titolo  sanzionate,
 costituenti  comunque forme di rifiuto del servizio militare di leva;
 la conseguente "spirale delle  condanne"  veniva  altresi',  ritenuta
 confliggere  con i principi menzionati in tema di funzione della pena
 dall'art. 27 della Costituzione.
   Il  legislatore,  nell'approvare  le  nuove  norme  in  materia  di
 obiezione  di  coscienza  di cui alla legge 8 luglio 1998, n. 230, ha
 accolto le indicazioni della Corte costituzionale alle  quali  si  e'
 fatto  fin  qui  riferimento,  prevedendo all'art. 14, comma 5 che il
 soggetto che in qualsiasi momento rifiuti il  servizio  militare  per
 motivi  diversi  da  quelli  di coscienza, ovvero senza addurre alcun
 motivo sia esonerato dagli obblighi di leva, sempre che abbia espiato
 la  pena  della  reclusione  per  un  periodo  complessivamente   non
 inferiore alla durata del servizio medesimo.
   Se  con  tale disposizione normativa, come detto, si e' recepita la
 disciplina introdotta per i casi  in  questione  dalla  stessa  Corte
 costituzionale  con  le sentenze n. 343 e 422 del 1993, pur tuttavia,
 il quadro normativo costituente tertium comparationis e' mutato.
   Infatti, nella vigenza dell'abrogata legge  n.  772/1972,  sia  nel
 caso  di  condanna  per  il reato di rifiuto del servizio di leva per
 motivi  di  coscienza,  che  nel  caso  di   altri   reati   militari
 riconducibili  al  rifiuto  totale  del  medesimo servizio per motivi
 diversi da quelli  legalmente  riconosciuti,  o  senza  adduzione  di
 motivi,  l'esonero  dagli  obblighi di leva conseguiva solamente alla
 espiazione della pena (nella prima ipotesi quella prevista  dall'art.
 8,  comma  2,  nelle altre quelle comminate per i delitti di volta in
 volta configarabili, purche' per una durata almeno pari a quella  del
 servizio militare di leva).
   Attualmente, con la sopravvenuta legge n. 230/1998, che ha abrogato
 totalmente  la  precedente,  l'obiettore  che,  in qualunque momento,
 adduca a fronte del totale rifiuto  i  motivi  di  coscienza  di  cui
 all'art.  1 della medesima legge consegue l'esonero dagli obblighi di
 leva  con  la  semplice  condanna  mentre,  l'obiettore che, come nel
 presente procedimento, si sia  ripetutamente  assentato  dal  reparto
 senza  addurre  alcun  motivo  o,  comunque adducendo altri motivi da
 quelli normativamente statuiti (es.  politici  o  privati),  e  abbia
 commesso  delitti  militari  riconducibili ad un rifiuto totale degli
 obblighi  di  leva,  il  diritto  all'esonero  consegue   solo   dopo
 l'espiazione  della pena per un periodo non inferiore alla durata del
 servizio militare.
   Il parametro di confronto risulta radicalmente mutato: da una parte
 agli artt. 14, commi 2 e 4 si parla di semplice sentenza di  condanna
 quale  causa  di esonero, dall'altra all'art. 14, comma 5 si discorre
 di espiazione della pena (attualmente per dieci mesi) quale causa  di
 esonero dall'obbligo di prestare il servizio militare.
   Concretamente, si verifica che il giudice ordinario cui e' devoluta
 la  cognizione  della  prima norma (ex art. 14, comma 3 legge citata)
 condanni o applichi pena a richiesta subordinandola alla  sospensione
 condizionale  della  pena  oppure,  applichi  pena della multa previa
 conversione della pena detentiva breve irrogata nei minimi di  legge,
 ritenute  applicabili tutte le circostanze attenuanti e diminuenti e,
 si verifica che il giudice militare, cui e' rimasta  assurdamente  la
 conoscibilita'  delle  rimanenti  generali  fattispecie delittuose di
 rifiuto   totale   (es.   mancanza   alla    chiamata,    diserzione,
 disobbedienza) condanni a pena che complessivamente non potra' essere
 comunque  inferiore  alla durata prevista per il servizio militare e,
 comunque,  non  conceda  i  benefici   di   legge   dato   che   solo
 all'espiazione  conseguira'  l'esonero dagli obblighi militari. Anzi,
 e' prassi consolidata  in  giurisprudenza  che  mai  si  concedano  i
 benefici  di  cui  all'art.  163  c.p.  ai  giovani disertori (vedasi
 l'odierno imputato) che pur incensurati,  pur  tuttavia  non  abbiano
 posto  termine  alla  cessazione  del reato permanente al momento del
 giudizio di primo grado.
   Costoro  poi,  se  contumaci  (vd.  sempre  il  caso   dell'odierno
 imputato)  verranno  ancora  successivamente condannati per ulteriori
 reati di assenza e fino alla carcerazione. Ma,  non  basta  giacche',
 potranno  ancora  essere  penalmente  perseguiti  (vd. sempre il caso
 dell'odierno imputato) per ulteriori frazioni di  assenza  arbitraria
 decorrenti  fra  una  condanna  e  un  arresto a seguito di ordine di
 carcerazione.
   Se, poi, le condanne vengono emesse contro  militari  contumaci  ed
 irreperibili,  si  potra' anche arrivare a perseguirli penalmente per
 reati  di  assenza  arbitraria  fino   a   che   i   condannati   non
 raggiungeranno    il    limite    degli    obblighi   di   leva   del
 quarantacinquesimo anno di eta'; cio' data  l'impossibilita'  di  far
 loro  espiare  la  pena.  La prassi nefasta ed incostituzionale della
 c.d.  "spirale  delle  condanne"  non  e'  affatto  caducata  con  la
 sopravvenienza    delle    sopra    citate   sentenze   della   Corte
 costituzionale.
   In questa situazione assolutamente ingiustificata appare  di  nuovo
 la  differenza  di  trattamento  fra  il caso di chi, ben informato e
 previdente, riconduca espressamente a motivi di coscienza (oltretutto
 non veriricabili in nessun modo) il comportamento di sottrazione agli
 obblighi di leva e chi, invece, non informato e un po' sprovveduto si
 limiti ad allontanarsi dal reparto o in altro modo a non  ottemperare
 agli  obblighi  che  gli  derivano,  rifiutando  di prestare servizio
 militare:  in queste ipotesi, infaitti, l'esonero dagli  obblighi  di
 leva consegue solo alla effettiva espiazione della pena.
   In  considerazione  dell'identita'  dell'interesse  leso  nelle due
 distinte ipotesi criminose, oltreche' dall'analogia  delle  modalita'
 oggettive  di  comportamento,  non  puo'  ammettersi  che gli effetti
 penali  conseguenti  ai   due   analoghi   comportamenti   conseguono
 differenti e sproporzionate cause di esonero dal servizio militare.
   L'attuale   legislazione   rende   palesemente   sproporzionato  il
 trattamento sanzionatorio complessivo concernente i reati militari di
 rifiuto non collegabili all'adduzione di motivi  di  cui  all'art.  1
 della  legge,  relativamente ai quali ancora sussiste la possibilita'
 del realizzarsi della c.d. "spirale delle condanne".
   Risulta violato il principio di eguglianza di cui all'art. 3  Cost.
 dato  che  la Consulta ha ribadito che tale principio comporta che la
 regola della proporzionalita' in esso implicita debba esser  valutata
 in relazione agli effetti pratici prodotti o producibili nei concreti
 rapporti della vita.
   Tale  differente  individazione della clausola di esonero per reati
 identici  comporta  una  eccessiva   sproporzione   del   trattamento
 sanzionatorio  fra  obiettori  poiche',  nel  caso  che ci occupa, la
 sanzione penale, pur se  determinata  nella  stessa  misura  edittale
 prevista  per  il  delitto di cui all'art. 14, comma 2 legge cit., e'
 destinata ad applicazioni reiterate fino all'effettivo raggiungimento
 della espiazione della pena per una data  che  oggi  e'  prevista  in
 dieci mesi.
   La  possibilita'  reale  della  c.d.  "spirale  delle  condanne" in
 relazione ai reati di rifiuto  totale  di  prestazione  del  servizio
 militare  diversi da quello disciplinato dall'art. 14, comma 2, legge
 n. 230/1998, conseguente  alla  individuazione  di  una  clausola  di
 esonero  non  collegata alta semplice sentenza penale di condanna, e'
 la manifestazione della  palese  irragionevolezza  del  bilanciamento
 operato dal legislatore, in sede di trattamento sanzionatorio di quei
 reati, fa il valore costituzionale del dovere di prestare il servizio
 militare e quello della liberta' personale.
   L'incriminazione del rifiuto totale di adempiere l'obbligo di leva,
 pur  immotivato  (come  nel  caso  di  Carrettoni  Gjonata),  se deve
 condurre ad un sacrificio della liberta' personale, non puo' tuttavia
 estendere questo sacrificio sino al punto  di  sottoporre  colui  che
 abbia  commesso  i  relativi  reati  ad "una serie di condanne penali
 cosi'  lunga  e  pesante  da  poterne  distruggere  la   sua   intima
 personalita' umana e la speranza di una vita normale".
   Considerazioni   simili   sono  state  fatte  proprie  dalla  Corte
 costituzionale nella sentenza 10 febbraio  1997,  n.  47  laddove  ha
 dichiarato  l'incostituzionalita' del secondo e terzo comma dell'art.
 8 legge n. 772/1972 nella parte in cui non esclude la possibilita' di
 piu' di una condanna per il reato di rifiuto totale alla  prestazione
 del  servizio militare da parte di chi rifiutava il servizio militare
 adducendo i motivi riconosciuti dalla legge all'art. 1.
   La disciplina vigente contrasta percio' con gli artt. 3 e 27  della
 Costituzione.
   La questione di costituzionalita' e' rilevante, come del resto gia'
 si   e'   detto   facendo   spesso  riferimento  alla  causa  oggetto
 dell'odierno giudizio. Il Carrettoni, infatti, fin  dal  27  febbraio
 1997  era  stato  condannato ad una pena detentiva senza il beneficio
 della sospesione condizionale ed aveva visto revocata la  sospensione
 concessagli  con due precedenti pronunce: pertanto, doveva espiare un
 periodo di reclusione superiore alla durata del servizio militare  di
 leva.  Il permanere della sussistenza di un nuovo reato di diserzione
 (decorrente come e' costante giurisprudenza per  i  reati  permanenti
 dalla precedente sentenza di condanna in stato di assenza arbitraria)
 non  conseguiva  piu' soltanto al perdurare della sua volonta' di non
 ripresentarsi  alle  armi,   ma   discendeva   principalmente   dalla
 circostanza,  assolutamente  casuale e non addebitabile all'imputato,
 della non immediata emissione dell'ordine di carcerazione,  differito
 anche  in  armonia con le note recenti disposizioni di cui alla legge
 n.  25 maggio 1998, n. 165.
   Assolutamente inconciliabile anche con i principi costituzionali in
 materia di finalita' della sanzione penale appare pertanto, l'attuale
 quadro normativo, nel quale la sussistenza  e  la  permanenza  di  un
 reato  (per  il  quale  non  e'  poi  concedibile  il beneficio della
 sospensione  condizionale)   non   consegue   ad   un   comportamento
 antisociale  del  reo,  ma  al  ritardo  con  il  quale le competenti
 autorita'  giudiziarie  dispongano  l'esecuzione  della  sentenza  di
 condanna gia' pronunciata o, nelle maggior parte dei casi, sospendano
 l'esecuzione  della  medesima, adottino la complessa procedura di cui
 all'art.  656  c.p.p.  e   prevvedano   sull'eventuale   istanza   di
 affidamento in prova al servizio sociale (come nel caso di specie).
   La  questione  e' talmente rilevante che in caso di accoglimento si
 dovrebbe emettere declaratoria di non luogo a  procedere  perche'  il
 fatto non sussiste.